martedì 22 dicembre 2015

Riforma Rai, ok alla legge: la politica resta dentro la tv pubblica. “Super ad” e cda deciso da Parlamento e governo


Non più il direttore generale ma l’amministratore delegatoindicato dal ministero del Tesoro. Un cda non più eletto dalla Vigilanza, ma in parte dal Parlamento, in parte dal governo e in parte dall’assemblea dei dipendenti. Un presidente “di garanzia” che avrà bisogno dei due terzi della commissione di vigilanza. Altro che “i partiti fuori dalla Rai“, come prometteva il presidente del Consiglio Matteo Renzi. La riforma della Raidiventa legge e cristallizza quello che è successo negli ultimi 60 anni: cioè lo spoil system all’interno della tv pubblica, il principale “vettore di cultura” del Paese.
“Il Presidente del Consiglio aveva promesso di togliere la Rai aipartiti e restituirla ai cittadini – spiegano in una nota congiunta il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, ed il segretario dell’Usigrai, Vittorio di Trapani – E invece l’ha messa alle dirette dipendenze delgoverno. Con un doppio colpo, Palazzo Chigi ha portato sotto il proprio diretto controllo i 2 pilastri dell’autonomia e dell’indipendenza dei Servizi Pubblici: fonti di nomina efinanziamenti“. E, proseguono, “ora c’è il concreto rischio di scivolare ancora più in basso” nelle classifiche mondiali per la libertà di informazione dove, peraltro, “l’Italia è già da troppo tempo in fondo”.
Duro anche il commento del senatore Maurizio Gasparri (Fi), autore della precedente riforma di Viale Mazzini: questa, dice, è “una leggina che sarà stracciata per la sua palese illegalità”, “un atto di protervia che sarà la Corte ad abolire”, in cui “comanda tutto un amministratore delegato scelto dal governo, negando quattro sentenze della Corte Costituzionale“. E il nome del senatore forzista viene citato dal presidente della commissione di Vigilanza Rai Roberto Fico, per commentare il nuovo provvedimento. “Non esiste nessuna riforma della Rai – scrive su Facebook – Quella approvata poco fa al Senato è una Gasparri 2.0“. Ovvero “la peggiore legge che si potesse congegnare per il servizio pubblico”. Poi denuncia: “In pericolo ci sono il pluralismo e la libertà di informazione con gravi conseguenze per gli equilibri democratici”.
Il via libera finale e definitivo è arrivato oggi al Senato, con l’approvazione per alzata di mano, cioè senza la registrazione dei voti, perché nessuno ha chiesto di votare con procedimento elettronico. La scorsa settimana tutto era saltato all’ultimo momento per la mancanza del numero legale. Le norme già approvate alla Camera sono state confermate in blocco dall’assemblea di Palazzo Madama. A Montecitorio erano state introdotte alcune modifiche relative, tra l’altro, alla pubblicazione degli stipendi dei dirigenti oltre 200mila euro (compresi i giornalisti, ma escluse le star della tv) e alla previsione di una consultazione pubblica prima del rinnovo della concessione il prossimo anno. Dall’entrata in vigore della legge l’attuale direttore generale Antonio Campo Dall’Orto acquisirà i poteri previsti dalla riforma per l’amministratore delegato, mantenendo comunque quelli attuali.

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